Migranti: profeti e costruttori della casa comune

La riflessione dello scalabriniano padre Alfredo Gonçalves in occasione della 105a Giornata mondiale dei migranti e dei rifugiati (29 settembre 2019)

Come in uno specchio, la 105a Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 29 settembre 2019 può essere vista sullo sfondo dei dibattiti dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che registra differenze e contraddizioni nei discorsi e nelle posizioni di ciascun capo di stato.

Da un parte, Donald Trump rafforza e predica il nazionalismo populista della politica adottata dagli Stati Uniti, autorizzati a ingaggiare una guerra commerciale con la Cina. Il presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro lo segue da vicino, insistendo sull’isolazionismo aggressivo o sul fantasma del socialismo, entrambi obsoleti. Dall’altra parte, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, difendendo il multilateralismo, ribadisce che la diversità è una ricchezza e non una minaccia.

Uno scenario che ci coinvolge tutti
Papa Francesco, nel suo consueto messaggio sulla celebrazione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato – avente quest’anno per tema Non si tratta solo di migranti – richiama l’attenzione sul contesto più ampio in cui si verificano gli spostamenti umani di massa.

Le parole del pontefice chiariscono che le migrazioni non sono che la punta dell’iceberg di uno scenario internazionale che coinvolge tutto e tutti, in particolare i governi, le nazioni e le istituzioni della società civile. Mentre marciano sulle avversità e senza orizzonti definiti, i migranti e i rifugiati confutano l’economia delle disuguaglianze per usare la frase coniata nel libro di Thomas Piketty, o l’economia che esclude, scarta e uccide nel ritornello profetico del Santo Padre.

I danni del populismo sulla pelle dei migranti
Quel che è certo è che il populismo nazionalista ed esacerbato ha causato danni profondi, anche in paesi con lunghe tradizioni democratiche. Un danno più grave nelle democrazie recenti e non consolidate. Le peggiori conseguenze di questa nuova ondata di nazionalismo, tuttavia, vivono nella carne e nell’anima delle popolazioni in esodo.

Leggi sempre più restrittive, confini chiusi e militarizzati, espulsione delle persone senza documenti, ostilità e persecuzione, razzismo e aggressioni xenofobe, difficoltà crescenti per i richiedenti asilo, riduzione del budget per l’accoglienza, l’assistenza e l’inclusione sociale: queste sono alcune delle nefaste conseguenze per chi sogna un futuro meno perverso.

Rifiutati dai loro propri di origine, che negano loro una cittadinanza giusta e dignitosa, i migranti e i rifugiati finiscono per essere respinti nei paesi di possibile destinazione. Restano alla deriva, a volte letteralmente, nella speranza di trovare una nuova patria.

Una solidarietà effettiva ed efficace
L’appello del messaggio pontificio cerca di trovare risposte e soluzioni a questa enorme moltitudine di apolidi. In particolare, avverte della necessità di rivedere il concetto di carità, non come la nozione distorta di elemosina, che allarga il divario tra ricchi e poveri, ma come solidarietà effettiva ed efficace, che comprende persone, istituzioni e paesi.

Si tratta di fare in modo che il progresso tecnologico e la crescita economica portino allo sviluppo integrale dell’intera persona e di tutte le persone, come ha ricordato l’enciclica Populorum Progressio, pubblicata da papa Paolo VI nel 1967. È in gioco il diritto di andar e venire e questo corrisponde al diritto di restare con dignità e protezione nel proprio paese.

L’attenzione agli ultimi: criterio della nostra salvezza
Inoltre, da una prospettiva evangelica e solidale, il messaggio del Santo Padre ci invita a mettere gli ultimi al primo posto. Come ha detto e fatto Gesù, portare al centro i poveri e gli esclusi, i piccoli e gli indifesi, i malati e gli emarginati. Per due motivi. Primo: perché gli ultimi rappresentano il criterio di salvezza (Mt 25,40: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»; Mt 25,35: «Ero straniero e mi avete accolto»).

Secondo: perché gli ultimi sono i profeti e i protagonisti del futuro e della costruzione della nostra casa comune. Nelle regioni di origine denunciano cattive condizioni di lavoro e di vita; nei luoghi di destinazione, indicano la necessità di nuove relazioni umane, siano esse nazionali, regionali o internazionali.

Padre Alfredo J. Gonçalves, cs

Fonte: http://www.scalabriniani.org/c365-attualita/migranti-profeti-e-costruttori-della-casa-comune/