A Johannesburg la fame spaventa più del coronavirus

Padre Pablo Velasquez, missionario scalabriniano nel sobborgo di La Rochelle, in Sudafrica: «Se le cose continuano così, non ce la faremo mai con le nostre sole risorse»

«Ogni giorno nella nostra parrocchia centinaia di persone vengono a fare lunghe file per avere un food parcel cioè una borsa con certi prodotti basici per mangiare. (…) Stiamo facendo tutto quel che possiamo per venire incontro alle necessità di questi nostri fratelli che disobbediscono alle misure restrittive per andare in cerca del cibo. È triste dirlo ma se le cose continuano così, non ce la faremo mai con le nostre sole risorse!».

A parlare è padre Pablo Velasquez, missionario scalabriniano e vicario della parrocchia di Saint Patrick nel quartiere di La Rochelle a Johannesburg, in Sudafrica, in questi giorni testimone della situazione di grave necessità venutasi a creare in seguito alle restrizioni per il coronavirus. «Finora tutto il cibo donato alle persone nella nostra chiesa veniva dalle donazioni che i nostri parrocchiani hanno raccolto grazie all’appello che padre Jorge Armando Guerra, il parroco, ha fatto giorni prima che entrassero in vigore le misure restrittive. A queste si uniscono le donazioni per i poveri raccolte durante la Quaresima dagli stessi parrocchiani».

Trasgredire per vivere

Il 22 aprile lo scalabriniano ha girato un video (condiviso nello stesso giorno anche dal quotidiano Avvenire, in un articolo del giornalista Nello Scavo) che mostra centinaia di persone in fila senza mascherine davanti la parrocchia scalabriniana di Saint Patrick per chiedere cibo (e in un’altro video la situazione a una settimana di distanza).

In un territorio in cui gli immigrati rappresentano quasi l’8% della popolazione e dove i dati appaiono sempre provvisori, il governo di Pretoria ha da tempo stabilito la chiusura dell’attività e l’obbligo di non lasciare le abitazioni. Malgrado ciò la fila continua a formarsi ogni giorno fin dalle prime ore del mattino. «Le fasce benestanti della popolazione — aveva dichiarato già l’8 aprile all’Osservatore Romano padre Velasquez — hanno risorse economiche e garanzie occupazionali che li tutelano e li aiutano a rispettare le direttive. Non è così per le fasce più povere. Per loro perdere giorni di lavoro significa non guadagnare nulla».

Il Sudafrica è tra i paesi con il più alto numero di casi di covid-19 del continente africano. Ne ha parlato a Vatican News anche padre Filippo Ferraro, missionario scalabriniano e direttore a Cape Town dello Scalabrini Institute for Human Mobility in Africa (SIHMA): «Con i provvedimenti necessari per arginare il coronavirus adottati dal governo (…) si è creata una specie di pentola a pressione enorme, perché in luoghi come le township [grosse aree, che in altre zone del mondo vengono chiamate bidonville o favela] non si riescono normalmente ad avere né il distanziamento sociale né il rispetto delle misure igieniche: parliamo di baracche che non hanno i servizi, i bagni sono pubblici e si trovano all’interno dell’agglomerato.

Il governo ha concentrato lì il dispiegamento delle forze dell’ordine per impedire il movimento di queste persone: se il contagio arrivasse nelle township sarebbe un disastro, perché qui il sistema sanitario funziona come negli Stati Uniti, perlopiù tramite assicurazione».

Soprattutto immigrati

In fila fuori dalla chiesa di Saint Patrick ci sono soprattutto immigrati provenienti da Congo, Mozambico, Malawi, Zimbawe e altri paesi: persone che, in quanto foreigners (stranieri, di altre nazionalità africane), non ricevono aiuti dallo stato e sembrano sistematicamente dimenticati anche dai discorsi dei politici. «Nel mio cellulare ricevo quasi tutti i giorni messaggi di ragazzi lavoratori immigrati disperati, senza niente da mangiare – afferma padre Velasquez – Alcuni di loro sono l’unica risorsa economica per la famiglia rimasta in altri paesi africani».

Nella parrocchia scalabriniana di Saint Patrick, già punto di ritrovo i fedeli di almeno venti diverse nazionalità, il numero di quanti chiedono aiuto sta quindi aumentando vertiginosamente. «Finora nessuna rappresentazione consolare si è fatta viva per venire incontro alla sofferenza dei propri connazionali – continua il sacerdote – Solo per citare un esempio, abbiamo contattato il presidente delle comunità mozambicane in Johannesburg, un rappresentante del partito al potere (FRELIMO) che ci ha riferito di non aver ricevuto risposta positiva dal governo mozambicano riguardo il grande numero di famiglie che patiscono la fame a causa dell’emergenza».

La nostra paura… è rimasta indietro

Padre Velasquez ha lanciato nuovamente il suo appello il 24 aprile dalle pagine digitali di Vatican NewsIntervistato da Federico Piana, lo scalabriniano ha ribadito che la situazione è molto critica: «Migliaia di immigrati senza più lavoro ai quali cerchiamo, con fatica, di dare una mano. Molti di loro mi dicono: padre, è meglio morire di coronavirus che di fame. Non sopportiamo che i nostri bambini piangano di fame. Noi possiamo bere molta acqua per ingannare lo stomaco, ma i nostri bambini?».

Una dichiarazione drammatica, che lo scalabriniano ha ripetuto anche il 27 aprile davanti ai microfoni di Tg2000, il telegiornale di Tv2000: «La nostra paura… è rimasta indietro. Impossibile chiudere le nostre porte e mandare via la gente quando sappiamo che ci sono delle famiglie, dei bambini che piangono per la fame».

#UnaSolaCasa contro il coronavirus

Anche tu puoi aiutare chi si rivolge alla parrocchia di Saint Patrick a Johannesburg e ai nostri progetti, missioni, parrocchie, in Italia, Europa e Africa in questo momento di estrema difficoltà a causa del coronavirus grazie a #UnaSolaCasa, la campagna di ASCS – Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo in aiuto delle vittime delle conseguenze economiche e sociali della pandemia. Dona ora: www.ascsonlus.org/una-sola-casa

La campagna #UnaSolaCasa

Fonte: http://www.scalabrini.net/it/notizie/507-a-johannesburg-la-fame-spaventa-piu-del-coronavirus.html